sábado, 12 de novembro de 2016

Regina delle gemme

Suor Juliana Montanari, EP

 

Pure come l’acqua cristallina, brillanti come le stelle e rigide come una fortezza, queste le notevoli caratteristiche di un bel simbolo di Dio: le pietre preziose. Che siano smeraldi, rubini, topazi o diamanti, sono ricchezze mirabili, depositate nelle viscere della terra dal Creatore. Ma il Divino Artefice ha collocato tali meraviglie solamente lì?
Alcune, più preziose ancora di quelle estratte dal suolo, Egli le ha volute nascondere in fondo al mare. Sono le perle. In realtà, esse non sono pietre, poiché sono il risultato di un processo organico, ma possono essere catalogate tra le gemme più preziose.
Come il Cielo è il premio per quelli che hanno vinto le prove di questa vita ed è conquistato attraverso la sofferenza, così la perla è frutto del dolore, la ricompensa di una grande lotta. Quando l’ostrica è raggiunta al suo interno da un elemento estraneo, sia esso un granello di sabbia o una particella di roccia, la sua difesa consiste nel produrre la nacre o madreperla, sostanza che avvolge l’invasore e che rapidamente si cristallizza, formando poco a poco una piccola sfera. Fino al completamento di questa cristallizzazione, essa continuerà il suo attacco contro il nemico, al punto di ricoprirlo interamente. In questo modo si produce la perla, la regina delle gemme.
La si può trovare in vari colori, rosa, rosso, beige, azzurro, arcobaleno e nero, la più rara. Queste variazioni dipendono da proteine, detriti e dal colore interno della conchiglia dell’ostrica. Le perle, nella maggior parte, hanno un formato irregolare. Gli scienziati dicono che solo una su diecimila è perfettamente sferica, il che le dà un valore tutto speciale.
Anticamente, le perle erano uno dei maggiori simboli di potere e regalità nel mondo, usate nei più magnifici gioielli e offerte ad alte personalità. Trovare una perla grande e di colore intenso, alcuni anni fa, significava un dono immenso che avrebbe cambiato la vita del suo fortunato proprietario.
Preziose e bellissime sono le perle, ma, difficili da procurarsi. Perché? Capriccio della natura, risponderebbe erroneamente chi non sa contemplare la mano di Dio che conduce le sue creature. Dobbiamo considerare, infatti, che il Creatore ha fatto tutto con ponderazione e misura, affinché l’uomo comprendesse il simbolo di tutte le cose e ne traesse profitto, soprattutto, spirituale.
Infatti, più preziosa di una perla è la grazia divina, che gli uomini del giorno d’oggi sembrano aver dimenticato di cercare… Noi la riceviamo come una semente nell’ora del Battesimo e dobbiamo farla crescere con i Sacramenti, con la preghiera, con la rinuncia al peccato e a tutto ciò che può allontanarci da Dio, poiché è lei che ci porterà alla beatitudine eterna, trasformandosi lì in gloria, nel più splendido dei regni.
Sappiamo, allora, cercare questo gioiello di valore incalcolabile e, dopo averlo trovato, conservarlo per sempre, costi quel che costi, seguendo il consiglio di Nostro Signore Gesù Cristo nel Vangelo, quando, seduto sulla barca, nel Lago di Genesaret, disse alla moltitudine assiepata sulla riva: “Il regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra” (Mt 13, 45-46).


In corone, come quella della regina della Baviera (foto 1), in diademi come quello della granduchessa
di Baden (foto 2), in orecchini (foto 3) o in bracciali (foto 4), le perle si distinguono per eleganza e bellezza.
Sotto, ostrica perlifera (foto 5), perle coltivate di Tahiti (foto 6) e diversi tipi di perle naturali (foto 7)


 




segunda-feira, 1 de agosto de 2016

Come è nata la Bibbia?


Un lungo e meraviglioso itinerario percorso dalla ragione umana illuminata dalla fede, e assistita dalla grazia e dai carismi dello Spirito, ha reso possibile definire con divina autorità la “regula fidei” delle Sacre Scritture.
  Si parla molto della Bibbia, ma quanti la conoscono in profondità? Sapranno i cattolici in genere – anche quelli considerati praticanti – come sono nati i libri sacri, quale il criterio di selezione utilizzato e con che autorità sono stati essi adottati o rifiutati? Senza alcun dubbio, un chiarimento a riguardo è del tutto opportuno per l’insieme dei fedeli.
Antico e Nuovo testamento
  La Bibbia, come si sa, è l’insieme degli scritti o libri dell’Antico e del Nuovo Testamento, con i quali Dio Si è rivelato agli uomini. Denominati anche Sacre Scritture o Sacre Lettere, costituiscono un solo e unico libro contenente la Parola di Dio. Sebbene siano stati elaborati da autori umani – gli agiografi, autori sacri –, sono stati scritti sotto l’ispirazione dello Spirito Santo e quindi sono autenticamente la Parola di Dio. Per questo si è soliti dire che le Sacre Scritture sono un’opera congiunta degli agiografi e del Divino Paraclito.
  Abbiamo così la Bibbia, divisa in due grandi parti: l’Antico e il Nuovo Testamento.1 Il primo contiene la Parola di Dio rivolta al Popolo Eletto della Prima Alleanza, consegnata in diversi scritti elaborati nel corso di più o meno 900 anni. Il Nuovo Testamento contiene, a opera degli Apostoli ed Evangelisti, gli insegnamenti con i quali Gesù Cristo ha completato e perfezionato la Rivelazione Antica, e la testimonianza della sua Morte e Resurrezione – il Mistero Pasquale –, con il quale ha aperto trionfalmente l’Era della Grazia, sigillando così la Nuova ed Eterna Alleanza.
  L’asse divino intorno al quale ruotano entrambi i Testamenti è la persona di Gesù Cristo. Infatti, nell’Antico è Lui l’annunciato: “Le Scritture danno testimonianza di Me”, (Gv 5, 39), disse Nostro Signore; e il Nuovo è la realizzazione di questo annuncio. Tale verità è espressa da Sant’Agostino con la brillantezza e la concisione del suo genio: “in Vetere Novum lateat, et in Novo Vetus pateat – Il Nuovo Testamento è nascosto nell’Antico, e l’Antico si rivela nel Nuovo”.2
  Ora, si sa che prima di Cristo e, soprattutto, nell’era cristiana, sono venuti alla luce numerosi scritti presumibilmente contenenti la Parola di Dio, e di questi soltanto un numero ridotto è stato incluso tra i Libri Sacri. Perché alcuni scritti sono entrati e altri no? Chi ha fatto questa selezione e con che autorità? Tali questioni ci portano a trattare di un bellissimo tema: la formazione del canone dei libri sacri.
Mirabile unanimità forgiata nel corso dei secoli
  La parola greca κανών (canone) ha vari significati: regola per misurare, regola, norma e, per estensione, lista, relazione. Il Canone delle Sacre Scritture è, infatti, la relazione dei Libri Sacri che compongono la Bibbia: 46 dell’Antico Testamento e 27 del Nuovo. Solamente questi 73 godono della prerogativa di essere Parola di Dio.
  Lunga e luminosa storia è quella della formazione del Canone, ossia, di come la Divina Provvidenza sia andata disponendo nel corso dei secoli le circostanze e gli spiriti perché la Santa Chiesa discernesse e identificasse, tra diversi scritti presentati come autentici trasmettitori della Parola di Dio, quali fossero di fatto ispirati e contenessero infallibilmente le verità della Fede.
  La difficoltà stava nel fatto che, nel corso dei secoli, apparvero un certo numero di scritti in seno alle comunità religiose israelite dell’Antico Testamento. Non tutti, però, godevano di uguale rispetto e osservanza. Alcuni, dall’inizio, riflettevano antiche e autentiche tradizioni con le quali il Popolo di Dio si identificava pienamente. Per altri invece, non c’era quest’accettazione generale.
  Una meravigliosa azione di Dio condusse a poco a poco le comunità giudaiche a un’opinione quasi unanime su questa materia. Opera infatti mirabile, poiché non si conosceva in quest’epoca un’autorità infallibile, come quella concessa da Cristo Gesù alla sua Chiesa, che potesse riconoscere e dichiarare il carattere sacro e ispirato di questi libri.
  Prima il Pentateuco, o Torah, è stato ben presto riconosciuto come la Parola di Dio. In seguito, i Profeti e poi gli altri Scritti hanno via via acquisito un riconoscimento normativo, fino a costituire collezioni, contenenti più o meno l’attuale insieme dei libri dell’Antico Testamento.3
Discernere il messaggio evangelico dalle interpretazioni false
  Per quanto riguarda il Nuovo Testamento, la situazione è ancora più ricca e complessa, sebbene più chiara e facile da esser seguita. A un certo momento della storia della Chiesa Primitiva, gli Apostoli e i loro seguaci si sono dedicati al compito di registrare per iscritto buona parte di quello che oralmente predicavano. Nacquero così i primi libri.
  Molto presto, tuttavia, si sono introdotte eresie nell’ambiente delle comunità cristiane. Alcune provenienti da erronee interpretazioni dottrinali concepite da cristiani giudaizzanti; altre, a quanto pare, originarie del paganesimo, come le dottrine chiamate gnostiche. Le une e le altre portavano a interpretazioni falsate del messaggio evangelico.
  Nei primi tempi del Cristianesimo proliferarono scritti neotestamentari, mescolandosi, così, testimonianze autentiche degli Apostoli e dei loro primi seguaci con altre sulla cui autenticità si poteva legittimamente dubitare, perché non godevano della garanzia di provenienza apostolica (del tempo degli Apostoli), o perché non erano oggetto di credibilità da parte delle chiese.
  Presto s’introdussero anche adattamenti o interpolazioni eretiche in alcuni scritti con pretese di provenire dal tempo apostolico, ma di dubbiosa e sospetta paternità.
  Dato che, dallo Spirito Santo, la Chiesa ha ricevuto come lascito le Scritture, tanto dell’Antico quanto del Nuovo Testamento, tocca ad essa discernere, riconoscere e dichiarare, con l’assistenza dello stesso Spirito, quali tra questi numerosi scritti sono di fatto Parola di Dio.
  Il risultato di questo lavoro lento e sicuro della Chiesa nell’identificazione dei Libri Sacri è stato la formazione del Canone.
L’azione dello Spirito Santo
  In questo paziente compito della Chiesa si nota una triplice azione dello Spirito Santo.
 Primo, il Divino Paraclito agisce sulle comunità che hanno accolto la Parola di Dio, il quale “aveva già parlato nei tempi antichi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio” (Eb 1, 1-2), formando e ispirando le tradizioni, propiziando che queste siano conservate nella memoria del popolo, e disponendo che la Parola permanga integra e inalterabile. In secondo luogo, ispira gli agiografi a mettere per iscritto il contenuto della Parola di Dio trasmessa all’inizio oralmente e consegnata alle tradizioni e a scrivere “tutte e soltanto quelle cose che egli voleva fossero scritte”.4 Gli autori sacri si dedicano, allora, a questa missione. Infine, attraverso la stessa Tradizione, ossia, quello che semper, ubique et ab omnibus è stato oggetto di fede, fa conoscere alla Chiesa gli scritti ispirati.
  La definizione del Canone, tanto dell’Antico quanto del Nuovo Testamento è, dunque, opera umana e divina della Chiesa. Umana, in quanto applica criteri logici di sapienza umana per discernere l’autenticità degli scritti vetero e neo testamentari, ma allo stesso tempo divina, in quanto assistita dal Divino Spirito Santo nell’interpretazione dei dati provenienti da tali mezzi umani. Il lavoro applicato e intelligente di un mirabile stuolo di uomini dei primi tempi del Cristianesimo – i Santi Padri – ha portato la Chiesa a un altissimo piano nella conoscenza delle Scritture e l’ha fatta discernere, con l’azione dello Spirito Santo, preziosi criteri per la selezione e classificazione dei Libri Sacri.
Il Canone veterotestamentario
  Rispondendo al fatto che i libri dell’Antico Testamento sono stati scritti in circa 900 anni nelle lingue ebraica, aramaica e, in misura ben minore, in greco, e non entrando nell’interessante tema della probabile datazione di tali scritti, né dei loro autori, poiché andremmo oltre i limiti naturali di questo articolo dedicato a studiare la formazione del Canone, vediamo ora come si è diffusa la conoscenza dei suddetti libri.
  È certo che alcune collezioni parziali di scritti veterotestamentari circolavano già entro le varie comunità israelite, tanto della Palestina quanto della Diaspora, nel tempo postesilico, soprattutto nel periodo dei Maccabei, ma ci mancano dati storici precisi al riguardo.
  Verso l’anno 200 a.C., apparve per la prima volta un’ampia collezione degli scritti veterotestamentari, in greco, composta, secondo quanto si diceva, da 70 saggi giudei di Alessandria, e per questo chiamata “Settuagesima” o “dei Settanta”, o ancora “Alessandrina”, frequentemente designata dalla sigla LXX.
  Non c’è notizia, tuttavia, che si sia elaborato un Canone dei libri sacri prima dell’era cristiana. A fianco di alcuni libri riconosciuti da tutti come sacri, ce n’erano molti altri sui quali aleggiava qualche incertezza e altri ancora francamente contestati.
  Le diverse versioni delle Scritture circolavano pacificamente tra i giudei della Palestina e di altri paesi, distaccandosi la Settuagesima, che ottenne un’ampia accettazione tra gli uni e gli altri ed era la più diffusa nei primi tempi del Cristianesimo.
  “La maggior parte delle citazioni dell’Antico Testamento attribuite a Gesù nei Vangeli corrisponde al testo della versione dei Settanta”.5 Il fatto che questa versione sia la più citata nei Vangeli le conferisce innegabile autorità. Essa era, anche, la più usata tra i giudei cristiani dei primi tempi, e godeva di piena credibilità in quegli ambienti.
  Nel corso del primo secolo, la maggior parte dei libri costanti della versione dei LXX fu pacificamente accettata: sono i cosiddetti protocanonici (da proto, primo, in greco). Altri, tuttavia, si prestavano a discussioni e furono accettati solamente in un secondo momento: sono i cosiddetti deuterocanonici (da deutero, secondo).
  Fu solo all’inizio del II secolo – quando la Chiesa aveva ormai vita propria, indipendente dal giudaismo e in essa si dava larga accettazione alla relazione di libri del LXX, chiamata Canone Lungo – che le autorità giudaiche, su iniziativa dei rabbini farisei, decisero di chiudere il loro canone, rifiutando sette libri costanti della versione dei LXX6 e abbracciando così un canone ridotto, chiamato Canone Corto.
  Non è fuori luogo ammettere che il motivo per cui i giudei abbiano abbracciato il Canone Corto è dovuto, tra le altre cause, a una necessità di differenziazione rispetto al Cristianesimo.
  I dati storici di cui si dispone indicano che, più probabilmente, questa collettanea abbracciata dai rabbini – nota anche col nome di Testo Protomassoretico – sia stata più tardi, nel Medioevo, rivista e provvista di note e segni vocalizzanti, alla maniera di commenti, dai massoreti giudei, maestri e rappresentanti della Massorah (tradizione) giudaica, venendo a costituire il cosiddetto Testo Massoretico, ossia, l’attuale Bibbia ebraica.
  Quando i giudei decisero di chiudere il loro canone, era già largamente accettata nella Chiesa, da più di un secolo, la versione dei Settanta, il Canone Lungo. Così, il canone dei rabbini farisei non ebbe che una portata ristretta, limitato all’ambito delle comunità giudaiche rimanenti.
  La Chiesa primitiva, dall’inizio, confermò la versione dei Settanta, versione questa che, insieme ad altre, com’è già stato detto, correva liberamente tra i giudei, poiché non c’era ancora, tra loro, una relazione definita dei libri considerati sacri. Essa, infatti, non ha ereditato dal giudaismo un canone definito, ma è stata lei che lo ha definito, accogliendo tutti i libri costanti dei LXX e anche i cosiddetti deuterocanonici. In questo modo la versione dei Settanta, il Canone Lungo, è stato abbracciato dal Cristianesimo, nella sua totalità, dai suoi primordi – con alcune difficoltà circostanziali,7 chiarite con il tempo – e ha goduto di piena autorità tra i cristiani. Il Concilio di Calcedonia (451 d.C.) non ha fatto che riconoscere una realtà già vissuta dal Cristianesimo fino al IV secolo, poiché, sebbene il Canone Veterotestamentario già fosse vivo nella Chiesa, e i libri che erano venuti a comporlo godessero di grande autorità tra i fedeli, eccettuate alcune rare comunità orientali isolate e senza maggior rilevanza, non si può ancora parlare di libri canonici. Fu solamente a partire da questa data che la collezione di tali libri ha acquisito piena configurazione canonica. 8 E così è rimasto per più di mille anni.
  È solamente nel XVI secolo – un millennio e mezzo dopo la nascita del Cristianesimo! – che una simile realtà è stata negata. Infatti, Martin Lutero e i suoi seguaci decisero di rifiutare quasi 1.500 anni di Tradizione cristiana e abbracciare il Canone Corto, fissato dai rabbini farisei per uso dei giudei, nascendo così la cosiddetta Bibbia Protestante.
  Per molti secoli, sulle orme della Tradizione apostolica, la Chiesa non ha sentito la necessità di presentare una definizione dogmatica sul Canone sacro, in quanto la pax Christi non si vedeva seriamente minacciata in questa materia. Furono le negazioni di Lutero nel XVI secolo e l’inquietudine da esse suscitata in seno alla Cristianità che portarono la Santa Chiesa a manifestare in questo campo il potere che dal suo Divino Fondatore gli era stato conferito. Così, ciò che era assente come dottrina comune e corrente della Chiesa dal IV secolo, e vissuto dal Cristianesimo dai suoi primordi, fu oggetto di una formulazione esplicita nel Concilio di Firenze, (1442) nel decreto Pro Iacobitis,9 e di una definizione dogmatica nel Concilio di Trento (1564), riaffermata nel Concilio Vaticano I (1870).
Canone Breve (Ebraico)
Torah: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio
Profeti Anteriori: Giosuè, Giudici, I Samuele, II Samuele, I Re,  II Re
Profeti Posteriori: Isaia, Geremia, Ezechiele, Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia
Scritti: Salmi, Giobbe, Proverbi, Rut, C. dei Cantici, Qohelet, Lamentazioni, Ester, Daniele, Esdra, Neemia, I Cronache, II Cronache
Canone Lungo, Alessandrino (Cattolico)
Pentateuco: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio
Storici: Giosuè, Giudici, Rut, I Samuele, II Samuele, I Re, II Re, I Cronache, II Cronache, Esdra, Neemia, Ester, Giuditta, Tobia, I Macabei, II Macabei
Sapienziali: Salmi, Proverbi, Qohelet, C. dei Cantici, Giobbe, Sapienza, Siracide
Profetici: Isaia, Geremia, Lamentazioni, Baruc, Ezechiele, Daniele, Osea, Amos, Michea, Gioele, Abdia, Giona, Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia
Canone neotestamentario
  Come abbiamo visto, la predicazione apostolica fu all’inizio esclusivamente orale, poiché gli Apostoli se ne andarono per il mondo a predicare, fedeli al dettato del Divino Maestro che disse, “andate e predicate” (Mc 16, 15) e non “andate e scrivete”. E non dimentichiamoci delle grandi difficoltà dell’epoca nell’ottenere libri, i quali erano tutti manoscritti, pertanto, costosi e di lenta elaborazione.
  Così, nel Periodo Apostolico (fino all’anno 70), la Chiesa nascente non possedeva ancora scritti propri, ma solamente la “Legge e i Profeti”, cioè, l’Antico Testamento, letto alla luce del messaggio cristiano. Presto, però, due fattori pretesero dagli Apostoli e dai loro primi seguaci il ricorso allo scritto: la moltiplicazione di comunità in regioni molto distanti, grazie, soprattutto, all’apostolato di San Paolo, e la comparsa delle eresie. Tuttavia, per molto tempo e persino nel periodo dei Padri Apostolici, le tradizioni evangeliche erano più conosciute attraverso la tradizione orale che quella scritta. 10 San Luca dà di questo testimonianza: “Poiché molti han posto mano a stendere un racconto degli avvenimenti successi tra di noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni fin da principio e divennero ministri della parola” (Lc 1, 1-2).
  Tale battaglia finì per cristallizzare nella Chiesa un’idea che esisteva già, latente, dal periodo subapostolico: 11 quella della necessità di un Canone chiuso.
  Ai tempi di San Giustino Martire (II secolo) a Roma, il Nuovo Testamento già conteneva due terzi di quello che venne a essere il suo Canone definitivo. Nel periodo seguente – di Sant’Ireneo, San Clemente di Alessandria, Origene – l’essenziale del Canone definitivo era già stato incluso nel Canone riconosciuto da Sant’Ireneo e dalla chiesa della Gallia: i quattro Vangeli, gli Atti degli Apostoli, alcune lettere e l’Apocalisse.
  Fu proprio Sant’Ireneo – una delle grandi figure della Patristica – che, di fronte allo gnosticismo e, soprattutto, al marcionismo, sviluppò la dottrina cristiana, stabilendo magnificamente i fondamenti della comprensione delle Scritture come un tutt’uno, coerente e armonico.
  San Clemente d’Alessandria e Origene presentavano una relazione di 22 libri sui quali, per loro, non c’erano dubbi: i quattro Vangeli, gli Atti degli Apostoli, le 14 lettere paoline, le prime lettere di Pietro e Giovanni e l’Apocalisse.12
  Alcuni scritti neotestamentari, com’è stato visto sopra, sembrano aver ottenuto molto presto il riconoscimento canonico, manifestato soprattutto dall’uso liturgico che di loro se ne fece. Sono i cosiddetti protocanonici del Nuovo Testamento.
  Ce ne furono altri, tuttavia, che presentarono qualche difficoltà a essere accettati e solamente dopo un processo relativamente lungo l’autorità della Chiesa li ha inclusi nel Canone. Sono questi chiamati deuterocanonici del Nuovo Testamento – la lettera agli Ebrei, la seconda di Pietro, la seconda e terza di Giovanni, le lettere di Giacomo e Giuda e l’Apocalisse – il che significa che entrarono nel Canone neotestamentario solo dopo una certa esitazione, essendo accettati, ripetiamo, unicamente dall’autorità della Chiesa.
La sapienza divina supera ogni previsione umana
  Nel corso di più o meno 300 anni, basato sull’accettazione da parte delle comunità, animate dal sensus fidei (il sentire della fede) ma, soprattutto dall’uso liturgico, con il riconoscimento esplicito delle autorità ecclesiastiche – riunite in sinodi e concili regionali o ecumenici –, si andò definendo un nucleo di libri di canonicità certa e indiscutibile.
   Lutero aveva rifiutato anche i deuterocanonici del Nuovo Testamento, ma i suoi seguaci non poterono sostenere questa posizione e finirono per ammetterli. In questo modo la Riforma cadeva nell’incoerenza di negare l’autorità della Chiesa quanto all’Antico Testamento e affermarla in relazione al Nuovo.
  Così, in maniera divinamente sapienziale lo Spirito Santo va governando la Santa Chiesa, in modo per nulla razionalista e schematico, definendo senza fretta meraviglie come l’insieme dei libri delle Sacre Scritture, nei quali “il Padre che sta in Cielo viene amorosamente incontro ai suoi figli per conversare con loro”.13
  Questo lungo e meraviglioso itinerario percorso dalla ragione umana illuminata dalla fede, e assistita dalla grazia e dai carismi dello Spirito Santo, ha reso possibile discernere con chiarezza e definire con divina autorità la regula fidei delle Sacre Scritture. In questo percorso siamo stati portati anche a contemplare la meravigliosa armonia tra le due fonti nelle quali si fonda tutta la fede cristiana: la Sacra Tradizione e le Sante Lettere.
 Rivista Araldi del Vangelo  settembre 2013 
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1 Termine biblico usato nel senso di Alleanza.
2 SANT’AGOSTINO. Quæstionum in Heptateuchum, l.2, 73: ML 34, 623.
 3 I termini “Antico Testamento” e “Nuovo Testamento” sono stati messi in uso dal Cristianesimo: il primo proviene da un’espressione di San Paolo (II Cor 3, 14), e il secondo estratto da un oracolo di Geremia (31, 31).
4 CONCILIO VATICANO II. Dei Verbum, n.11.
5 TREBOLLE BARRERA, Júlio. A Bíblia Judaica e a Bíblia Cristã. 2.ed. Petrópolis: Vozes, 1999, p.600.
6 Tobia, Giuditta, Baruch, Sapienza, Ecclesiastico, I e II Maccabeo, oltre ad alcuni passi di Ester e Daniele.
7 Alcuni libri, i deuterocanonici, sono stati oggetto di una certa discussione tra le chiese, ma in un secondo momento della storia del Canone sono stati accettati pacificamente dalla generalità del mondo cristiano.
8 Cfr. TREBOLLE BARRERA, op. cit., p.273.
9 Cfr. DZ 1334-1335; 1501-1504; 3029.
10 KÖSTER, Helmut. Synoptische Überlieferung bei den Apostolischen Vätern. In: TREBOLLE BARRERA, op. cit., p.277.
11 Periodo che seguì, immediatamente, agli Apostoli.
12 Si noti che sebbene l’Apocalisse e la Lettera agli Ebrei non presentassero dubbi quanto alla loro autenticità per Origene e San Clemente di Alessandria, essi saranno più tardi considerati deuterocanonici dalla Chiesa.
13 CONCILIO VATICANO II, op. cit., n.21.

sexta-feira, 18 de março de 2016

Commento al Vangelo – Solennità di San Giuseppe



VANGELO
16 “Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo. 18 Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. 19 Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto. 20 Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. 21 Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati”. 24a Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore.
(Mt 1, 16.18- 21.24a)
 

Elevato ad altezze inimmaginabili…
Sposo di Maria, padre virginale di Gesù e Patriarca della Chiesa. Questi tre titoli, glorioso appannaggio di San Giuseppe, proclamano la grandezza della sua missione e l’elevatezza di doni con i quali la sua anima fu adornata dalla Divina Provvidenza.




   

Mons. João Scognamiglio Clá Dias,EP

I – UN SANTO INSUFFICIENTEMENTE VENERATO
  Figura eccezionale, esaltata dalla Chiesa insieme con quella di Maria, non sarà mai abbastanza lodare San Giuseppe, tale è la quantità di meraviglie e privilegi di cui è piaciuto a Dio cumularlo. Purtroppo questo glorioso Patriarca molte volte è dimenticato, essendo il suo culto minore di quanto meriterebbe. Una spiegazione a tutto ciò la troviamo nella deviazione verificatasi nei primi tempi del Cristianesimo per quanto riguarda la devozione alla Madonna. Infatti, i fedeli ammiravano tanto la Sua grandezza che alcuni giunsero a riverirLa come fosse una dea.1
  San Tommaso d’Aquino2 insegna che ogni situazione intermedia, considerata a partire da uno degli estremi, sembra il contrario. Ed è ciò che si è verificato con il culto alla Santissima Vergine, poiché, analizzata a partire dalla nostra condizione di creature concepite nel peccato originale, Lei sembra più vicina a Dio che a noi. La Chiesa ha evitato questo errore mantenendo certi limiti nelle dimostrazioni di pietà mariana. Solo nel IV secolo ha dichiarato il dogma della maternità divina, definendo la partecipazione relativa di Maria al piano dell’unione ipostatica, il più alto grado di tutto l’ordine della creazione, e ha lasciato passare lunghi secoli per proclamare, alla fine, la sua Immacolata Concezione. È stato necessario, all’inizio, fissare l’adorazione a Nostro Signore Gesù Cristo per poi stimolare l’amore alla Madre di Dio, secondo il gusto dei ritmi divini soffiati dallo Spirito Santo. Per quanto riguarda San Giuseppe, non pare vi sia altra ragione. Può darsi che Nostro Signore abbia voluto che certi aspetti di quest’uomo rimanessero nascosti per impedire che, esageratamente esaltati, venissero a offuscare la figura di Cristo, poiché le attenzioni dovevano essere tutte rivolte a Lui. Non è comprensibile, pertanto, che, essendo Gesù l’Uomo-Dio, nato da una Madre Immacolata, collocasse vicino a Sé, come padre adottivo, una persona spenta, senza luce. Pertanto, se per venti secoli San Giuseppe rimane nascosto e ritirato, è da sperare che stia arrivando l’ora in cui la teologia renda esplicite vere novità a suo riguardo, grazie alle quali sia conosciuto, con esattezza e nei dettagli, il suo ruolo nella Sacra Famiglia e la categoria della sua elevatezza in quanto sposo di Maria, padre di Gesù e Patriarca della Santa Chiesa.
“Confermerò la sua regalità”
  Nella prima lettura di questa Solennità, tratta dal Secondo Libro di Samuele, la Chiesa applica a San Giuseppe e, soprattutto, a Gesù Cristo le parole rivolte dal Signore a Davide, per bocca del profeta Natan. Una volta garantita la stabilità del suo trono, Davide aveva il grande impegno di edificare un tempio a Dio, poiché si sentiva insoddisfatto per il fatto di possedere per sé un buon palazzo, mentre per il culto divino e la custodia dell’Arca dell’Alleanza non esisteva ancora un luogo all’altezza. Per questo, con la benedizione divina, egli ha cominciato a fare progetti, a riunire materiale per le opere e preziosi elementi di ornamentazione. Un giorno, il profeta Natan ha fatto sapere che non sarebbe stato lui ad elevare la dimora a Dio, ma uno dei suoi figli: “Dice il Signore: ‘Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu giacerai con i tuoi padri, io assicurerò dopo di te la discendenza uscita dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno. Egli edificherà una casa al mio nome e io renderò stabile per sempre il trono del suo regno. Io gli sarò padre ed egli mi sarà figlio. La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a me e il tuo trono sarà reso stabile per sempre’” (II Sm 7, 5a.12-14a.16).
  Non c’è movimento più forte nell’anima di un monarca del desiderio di dare continuità alla sua dinastia nel governo del regno dopo la sua morte.  Senza dubbio, tale era l’anelito di Davide, il quale forse non avrebbe neppure osato formulare la richiesta, ritenendolo sfrontato, a tal punto da offendere Dio. Ma Lui stesso, prendendo l’iniziativa, gli ha annunciato che avrebbe stabilito la sua casa e avrebbe confermato in essa il regno, significando che non sarebbe capitato alla sua stirpe qualcosa di analogo a quella di Saul, primo sovrano d’Israele, che perse la dignità reale a causa dei suoi molteplici peccati (cfr. I Sm 15, 23). Analizzando questa lettura, potremmo incorrere nell’errore di arrivare alla conclusione che tutti i discendenti di Davide fossero perfetti… La realtà storica, invece, dimostra che ci furono numerose infedeltà. Nonostante ciò, Dio non ha deposto dal trono il suo lignaggio e lo ha mantenuto fino all’ultimo anello, Colui che ha legato la stabilità di questo regno all’eternità, come sottolinea il Salmo Responsoriale: “In eterno durerà la sua discendenza” (Sal 89, 37). Giuseppe fa parte di questa genealogia, insieme a Maria Santissima, per dare origine al Signore Gesù, realizzando la promessa fatta al Re-Profeta. A questa considerazione, tuttavia, si potrebbe allegare il fatto che lui non era il vero padre di Gesù, visto che non ha prestato concorso umano al suo concepimento.
Il vincolo spirituale supera quello di sangue
  Ora, la perennità di una discendenza non può esser basata sulla consanguineità, quanto, invece, su un fondamento divino che la renda eterna, ossia, sulla grazia. San Paolo sottolinea ancor più questa idea, nell’Epistola ai Romani (4, 13.16-18.22), contemplata in questa Liturgia, ricordando le parole di Dio ad Abramo: “Ti ho costituito padre di molti popoli” (Rm 4, 17a). Abramo è pater multarum gentium – padre di molti popoli, in ciò che riguarda la fede e non la razza. Esiste, pertanto, un livello superiore a quello naturale, a quello umano, una famiglia costituita dalla fede e non dal sangue. Insiste l’Apostolo: “È nostro padre davanti al Dio nel quale credette, che dà vita ai morti e chiama all’esistenza le cose che ancora non esistono. Egli ebbe fede sperando contro ogni speranza e così divenne padre di molti popoli, come gli era stato detto: “Così sarà la tua discendenza”. Ecco perché gli fu accreditato come giustizia” (Rm 4, 17b-18.22). In San Giuseppe, in quanto discendente di Davide, si compiono tutte le promesse dell’Alleanza. Egli è padre di Gesù per la fede ereditata da Abramo e da lui portata alla perfezione. Il vincolo esistente tra lui e il Redentore è una relazione di fede.
II – LA REALIZZAZIONE DELLA PIÙ GRANDE MISSIONE DELLA STORIA
  Avendo già considerato in un’altra occasione il Vangelo scelto per la Liturgia di questa Solennità, nella sua prima opzione,3 lo analizzeremo ora, in forma breve, al fine di estrarne insegnamenti utili per crescere nella devozione a San Giuseppe.
Una posizione di umiltà e ammirazione
16 “Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo. 18 Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. 19 Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto”.
  La narrazione di San Matteo evidenzia ciò che è stato detto sopra, poiché mostra quanto San Giuseppe fosse un uomo integro e di fede incrollabile di fronte alle più grandi difficoltà. Nella sua anima non c’era posto per nessuna frenesia, esempio per un mondo nel quale si venera l’agitazione e la trepidazione. Infatti, nella vita dei santi tutto trascorre in modo e sereno, anche in mezzo alle difficoltà. E quando sono colpiti da drammi, riflettono, prendono una decisione e continuano ad andare avanti, senza perdere la pace.
  Giuseppe “era giusto”, e quando ha visto Maria nel periodo di gestazione, non ha avuto alcun sospetto riguardo alla sua purezza, poiché La conosceva a fondo e “credeva più nella castità della sua sposa che in quello che i suoi occhi vedevano, più nella grazia che nella natura”. 4 Tuttavia, amante e osservatore della Legge – come si riflette in altri episodi del Vangelo –, si vedeva obbligato a ripudiarLa in pubblico o in privato, o a denunciarLa, consegnando alla morte Colei della cui innocenza aveva piena convinzione. Avrebbe potuto, al contrario, trattenerLa con sé, astenendosi dall’accusarLa, e assumere il bambino come suo, ma neanche tale possibilità gli piaceva considerandosi indegno di un parto così alto e straordinario.5 Così, non comprendendo quello che in Lei si realizzava, subito ha adottato una postura di umiltà e d’inferiorità: ha consegnato tutto nelle mani di Dio, ha accettato l’umiliazione e ha deciso di ritirarsi  in segreto, prima che si manifestasse l’accaduto, come a dire: “Domine non sum dignus”.
Sei all’altezza!
20 “Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo
del Signore e gli disse: ‘Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo’”.
  Già determinato a partire, trafitto dal dolore, ha ricevuto da un Angelo la rivelazione: il frutto di Maria Santissima era lo stesso Dio fatto Uomo, e Lei sarebbe stata Madre senza smettere di essere Vergine! Quanto a lui, differentemente da quello che pensava, era, sì, all’altezza della sua celestiale sposa, diventando uno dei primi a conoscere il mistero sacro dell’Incarnazione del Verbo.
Sarai padre del Bambino
21 “‘Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati’”.
  È difficile concepire quale sia stata la consolazione e l’entusiasmo di San Giuseppe nel sapersi legato a questo mistero e nel sentire dall’Angelo l’annuncio che gli toccava, in quanto Patriarca e signore della casa, dare il nome al Bambino. Allo stesso modo che nella generazione eterna della Seconda Persona della Santissima Trinità il nome è stato posto da Dio Padre, che Lo ha chiamato Salvatore – infatti Gesù significa colui che salva –, Giuseppe
Gli avrebbe specificato anche la missione in relazione alla sua nascita temporale, assumendo, per speciale concessione divina, un ruolo umano parallelo a quello del Padre Eterno. A questo proposito, commenta il devoto padre Isidoro de Isolano: “È costume che i padri siano coloro che hanno autorità di dare il nome ai loro figli. E siccome Gesù era il Figlio di Dio, San Giuseppe ha fatto in questo le veci del Padre celeste. Quando i principi sono battezzati– opportunità in cui i cristiani danno il nome ai loro figli–, chi, se non un altro re, ambasciatore o alto personaggio, costuma fare le veci dei padri nell’attribuzione del nome? Infatti in una circostanza simile nessuno è parso tanto grato al Padre celeste, tanto degno e tanto insigne, come San Giuseppe”.6 In questo modo, si compiva in pienezza la profezia che il Messia sarebbe stato Figlio di Davide, e lo sarebbe stato tanto da parte del padre quanto da quella della Madre.7
24a “Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore”.
  Giuseppe, obbediente, ha accolto Maria ed ha iniziato a vivere con Lei in un’atmosfera di pace e tranquillità, in attesa della nascita del Bambino Gesù, senza, tuttavia, fare nessun commento sull’accaduto, per l’enorme rispetto che tributava a Lei. Ma sapeva che l’atteso dai profeti, l’Emanuele, il Cristo era venuto a vivere nella sua casa e lui poteva adorarLo, da allora, realmente presente nel tabernacolo delle viscere purissime della sua sposa virginale.
III – GRANDEZZA DI SAN GIUSEPPE ALLA LUCE DEL VANGELO
  In questi brevi versetti risulta chiaro quanto San Giuseppe è padre legale di Nostro Signore, poiché il santo Patriarca ha esercitato di fatto questo incarico, al punto che, nel Vangelo di San Luca, Maria menziona Giuseppe come padre di Gesù, trovandoLo nel Tempio: “Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo” (Lc 2, 48).
  Infatti, il matrimonio realizzato tra la Madonna e San Giuseppe è stato interamente valido, secondo la Legge. E come ogni matrimonio, essendo un contratto bilaterale, dipendeva dall’assenso di entrambi. È anche una verità ammessa da tutti i Padri e teologi che tanto Maria come Giuseppe erano vincolati a un voto di verginità. Certamente, Lei gli avrà comunicato questo proposito fatto e lui lo ha accettato, infatti anche lui avrà fatto lo stesso voto, per cui i due hanno concordato di mantenerlo all’interno del matrimonio. Pertanto, Lei è stata Vergine con la conoscenza e il consenso del suo sposo, che è rimasto legato per libera e spontanea volontà a questo impegno.
  Come sappiamo, secondo la Legge antica l’uomo diventava padrone della sua sposa, in modo che “la donna israelita costumava chiamare suo marito con i termini baʻal – ‘padrone’ e ‘adôn – ‘signore’, come facevano gli schiavi col loro padrone e il suddito col suo re”.8 A partire dal momento in cui i due si sono uniti, San Giuseppe è diventato signore di Maria, di conseguenza, signore di tutto il frutto di Lei. San Francesco di Sales spiega questa situazione per mezzo di una bella allegoria: “Se una colomba […] porta nel suo becco un dattero e lo lascia cadere in un giardino, non diremmo che la palma che verrà a nascere appartiene al proprietario del giardino? Ora, se questo è vero, chi potrà dubitare che lo Spirito Santo, avendo lasciato cadere questo divino dattero, come una divina colomba, nel giardino ben chiuso della Santissima Vergine (giardino sigillato e attorniato da tutti i lati dal recinto del santo voto di verginità e castità tutta immacolata), la quale apparteneva al glorioso San Giuseppe, come la donna o sposa appartiene allo sposo, chi dubiterà, dico, o chi potrà dire che questa divina palma, i cui frutti alimentano per l’immortalità, non appartenga al grande San Giuseppe?”.9
  Per l’Incarnazione era indispensabile che la Madonna concepisse entro le apparenze di un matrimonio umano, al fine di non creare una situazione incomprensibile, che intralciasse
la missione del Messia. Dunque, la gestazione di Gesù nel seno di Maria Santissima aveva in
Giuseppe il sigillo della legalità, in modo da garantire che il Bambino venisse al mondo in condizioni di normalità familiare, al fine di operare la Redenzione dell’umanità.
Il “fiat” di San Giuseppe
  Questa prerogativa di San Giuseppe, della paternità legale del Bambino, brilla ancora con maggior fulgore quando constatiamo che, essendo suo il frutto di Maria, egli avrebbe potuto rifiutare l’invito dell’Angelo nel sogno, ma non lo ha fatto. In questo modo, parallelamente al “Fiat!” della Madonna in risposta a San Gabriele nel momento dell’Annunciazione, anche lui ha pronunciato un altro fiat sublime, accettando, con la fede, di essere padre adottivo di Nostro Signore Gesù Cristo.
  Una volta che lui ha acconsentito a mantenere lo stato di verginità e ha accettato il mistero della concezione del Bambino Gesù in Maria, San Giuseppe deve esser considerato, anche, padre verginale del Redentore poiché ha avuto un grande legame con l’Incarnazione, sebbene estrinseco. Egli è stato necessario affinché ci fosse l’unione ipostatica, ed è stata volontà di Dio che partecipasse anche a quest’ordine ipostatico, in forma estrinseca, morale e mediata.10
Uno sposo all’altezza della Madonna
  Fatte queste considerazioni, ricordiamoci di un altro principio enunciato da San Tommaso d’Aquino: “Quelli che Dio sceglie per un compito speciale, li prepara e li dispone in modo che siano idonei alla loro missione”.11 Infatti, da tutta l’eternità, San Giuseppe è stato nella mente di Dio con la vocazione di essere capo della Sacra Famiglia e per questo è stato creato. Come dice l’Orazione del Giorno della Santa Messa di questa Solennità, a lui sono state affidate “le primizie della Chiesa”.12 E ha avuto sotto la sua custodia queste primizie, che sono state il Bambino Gesù e la Madonna. Dobbiamo concludere, allora, che San Giuseppe ha ricevuto grazie specifiche per essere all’altezza della sua missione di sposo e custode di Maria Santissima, e di padre legale e attribuito di Gesù Cristo, ossia, padre di Dio.
Modello di umiltà
  Tuttavia, che cosa traspare riguardo alla personalità di San Giuseppe nei Vangeli? Non consta che fosse loquace, chiassoso o troppo comunicativo. Al contrario, a somiglianza di Maria, Giuseppe si distingueva per la serietà, circospezione e modestia. Certamente seguiva una routine con ore fisse per tutte le sue mansioni e un’applicazione al lavoro notevole per la costanza.
  Ecco un esempio di quanto Dio ami queste virtù e scelga per le grandi missioni coloro che le praticano. Per convivere con Gesù e proteggere tutto l’ambiente nel quale Egli avrebbe abitato, al fine di realizzare la più alta opera di tutta la Storia della creazione, la Provvi denza ha preferito due persone, una donna e un uomo, che fossero raccolti, silenziosi e umili…
San Giuseppe, patrono della fiducia e della buona morte
  San Giuseppe è anche un impressionante modello della virtù della fiducia. Egli ha accettato
tutte le incertezze che la sua missione arrecava – come constatiamo, per esempio, nell’episodio della fuga in Egitto (cfr. Mt 2, 14) –, poiché è da supporsi che, quanto all’esaudire alle necessità materiali e concrete della vita, la Provvidenza non intervenisse in forma diretta, e lasciasse questa responsabilità alle sue cure. Pertanto, era lui a dover garantire il sostentamento della Sacra Famiglia. A lui si applica, in maniera speciale, la bellissima frase utilizzata più tardi da Nostro Signore per indicare la ragione del premio da dare ai giusti, alla fine del mondo: “Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete
dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito” (Mt 25, 35-36).
  Come la Madonna ha ricevuto la rivelazione dei patimenti che il Salvatore avrebbe dovuto soffrire sulla Terra per operare la Redenzione, senza dubbio, anche San Giuseppe ha avuto nozione di quello che sarebbe accaduto e ha assunto tutti i drammi e i dolori di Gesù e di Maria. Infiammato d’amore per Gesù, il suo grande desiderio era di continuare in questo mondo a proteggere la sua sposa verginale in tutte le circostanze. Dio,  però, ha deciso di prenderlo con Sé prima che Gesù iniziasse la sua vita pubblica. Forse perché lui non avrebbe tollerato di assistere a tutte le persecuzioni e ai tormenti della Passione e, come uomo, avrebbe dovuto manifestare il suo disaccordo riguardo al piano della morte di Cristo e assumere la Sua difesa. Avrebbe fatto questo con tale impeto di zelo che forse avrebbe impedito che la Passione giungesse al suo termine.
  Abbandonando questa vita, San Giuseppe è morto tra le braccia del suo Divino Figlio. I suoi occhi si sono chiusi alla contemplazione di Dio-Uomo nel tempo e, aprendosi all’eternità, hanno visto Gesù sorridente, che lo ha lasciato nel Limbo dei Giusti, per essere colto il giorno in cui Egli schiudesse le porte del Cielo.
In corpo e anima nella gloria del Cielo
  San Francesco di Sales sostiene la tesi che quando Cristo è risorto, anche San Giuseppe ha recuperato il suo corpo per entrare in Paradiso insieme alle anime di tutti i giusti che in quel momento sono stati liberati dal Limbo e hanno ottenuto la visione beatifica. “E se è vero, cosa cui dobbiamo credere, che in virtù del Santissimo Sacramento che riceviamo i nostri corpi resusciteranno nel giorno del Giudizio, come potremmo dubitare che Nostro Signore abbia fatto salire in Cielo, in corpo e anima, il glorioso San Giuseppe che ha avuto l’onore e la grazia di tenerLo tra le sue benedette braccia, nelle quali Nostro Signore tanto si compiaceva?”.13
  A favore di ciò argomentano anche altri santi e dottori,14 poggiandosi sulla stretta intimità che ha unito la Sacra Famiglia qui sulla Terra. Se Gesù e Maria sono saliti in corpo glorioso in Cielo, non è comprensibile che non si trovi là anche San Giuseppe, visto che lo stesso Nostro Signore ha affermato: “Non separi l’uomo quello che Dio ha unito” (Mt 19, 6; Mc 10, 9). Di conseguenza, secondo una forte corrente teologica, giacché quest’unione è voluta da Dio, ci sono tre persone in corpo e anima nella beatitudine eterna, ancor prima della resurrezione finale nell’ultimo giorno: il Signore Gesù, la Madonna e San Giuseppe.
  Nel considerare, con ammirazione, la figura di San Giuseppe e l’elevatezza inimmaginabile della sua vocazione – al punto che è impossibile pensare che ne esista un’altra di più alta –, vediamo che lui è così al di sopra della nostra condizione che lo consideriamo nella stessa proporzione di Maria. Bisogna, dunque, chiedere: che lui sia stato concepito senza peccato originale? A tutt’oggi il Magistero  della Chiesa non ha affermato il contrario in maniera definitiva, ragion per cui possono esser fatte considerazioni teologiche favorevoli a tale ipotesi.
IV – ACCORRIAMO DA SAN GIUSEPPE!
  Di fronte agli orizzonti grandiosi che la contemplazione amorosa della figura di San Giuseppe ci svela, possiamo concentrare ora la nostra attenzione sulla sua missione di Patriarca della Chiesa e protettore di tutta la sua azione. Qual è quest’azione? Distribuire le grazie come amministratrice dei Sacramenti, che rendono effettivo il disegno di salvezza di Cristo. La Chiesa, al suo nascere, si riduceva a Gesù e a Maria, che obbedivano a San Giuseppe in quanto Patriarca e capo della Sacra Famiglia. Questa relazione tra il Figlio e il padre si mantiene nell’eternità, di modo che Nostro Signore esaudisce con particolare benevolenza le richieste fatte da San Giuseppe.
  Attualmente, ci troviamo in una situazione di decadenza morale terribile, forse peggiore
di quella nella quale vivevano gli uomini quando Nostro Signore Si è incarnato e San Giuseppe ha ricevuto le primizie della Chiesa nelle sue mani. Il mondo intero è immerso nel neopaganesimo; i crimini e gli abominii che si commettono oggi sono, a volte, peggiori di quelli dell’Antichità. Ma come nei suoi primordi la Chiesa ha propagato la Buona Novella del Vangelo e ha dato inizio a un’era di grazie purificatrici e santificatrici della  società,  possiamo avere la certezza ferma e incrollabile che essa trionferà sul male anche ai nostri giorni. Per questo, la Solennità di San Giuseppe è il giorno specialissimo per aprire i nostri cuori alla devozione per questo Santo così grande, nella certezza di essere ben condotti, ben trattati e ben protetti. E avvalendoci del suo poderoso ausilio, dobbiamo chiedergli, come Patriarca della Chiesa, di intervenire negli avvenimenti, ottenendo da Gesù il rinnovamento della faccia della Terra.
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1 Cfr. ALASTRUEY, Gregorio. Tratado de la Virgen Santísima. 4.ed. Madrid: BAC, 1956, p.841.
2 Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO. Somma Teologica. I, q.50, a.1, ad 1.
3 Cfr. CLÁ DIAS, EP, João Scognamiglio. Due silenzi che hanno mutato la Storia. In: Araldi del Vangelo. N.92 (Dic., 2010); p.10-17. Per la seconda opzione di Vangelo per questa Solennità (Lc 2, 41-51a), e sempre commentato dall’Autore, si veda: Come incontrare Gesù
nell’aridità? In: Araldi del Vangelo. N.80 (Dic., 2009); p.10-17.
4 AUTORE INCERTO. Opus imperfectum in Matthæum. Om.I, cap.1: MG 56, 633.
5 Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO. In IV Sent. D.30, q.2, a.2, ad 5.
6 DE ISOLANO, OP, Isidoro. Suma de los dones de San José. II, cap.11. In: LLAMERA, OP, Bonifacio. Teología de San José. Madrid: BAC, 1953, p.484-485.
7 Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO. Somma Teologica. III, q.31, a.2.
8 TUYA, OP, Manuel de; SALGUERO, OP, José. Introducción a la Biblia. Madrid: BAC, 1967, vol. II, p.316.
9 SAN FRANCESCO DI SALES. Entretien XIX. Sur les vertus de Saint Joseph. In: OEuvres Complètes. Opuscules de spiritualité. Entretiens spirituels. 2.ed. Paris: Louis Vivès, 1862, tomo III, p.541.
10 Cfr. LLAMERA, op. cit., p.129- 139.
11 SAN TOMMASO D’AQUINO. Somma Teologica. III, q.27, a.4.
12 SOLENNITA’ DI SAN GIUSEPPE. Preghiera del giorno. In: MESSALE ROMANO. Trad. Portoghese della 2a. edizione tipica per il Brasile realizzata e pubblicata dalla CNBB con aggiunte approvate dalla Sede Apostolica. 9.ed. São Paulo: Paulus, 2004, p.563.
13 SAN FRANCESCO DI SALES, op. cit., p.546.
14 Cfr. SAN BERNARDINO DA SIENA. Sermones de Sanctis. De Sancto Ioseph Sponso Beatæ Virginis. Sermo I, a.3. In: Sermones Eximii. Venezia: Andreæ Poletti, 1745, tomo IV, p.235; DE ISOLANO, op. cit., IV, cap.3, p.629-630.
 
Rivista Marzo 2014 · Araldi del Vangelo